“Fallire è un’arte (e io sono il Picasso degli scivoloni)”
Se c’è una cosa che ho imparato a 37 anni, single, con un cactus che sopravvive più a lungo delle mie relazioni, è questa: la società ci divide in due categorie. Quelli che vincono (CEO a 25 anni, foto su Forbes con sfondo sfocato tipo ritratto del Rinascimento) e quelli che perdono (io, che ieri ho comprato il latte scaduto al discount perché era in offerta).
Ma cosa succede se smettiamo di giocare a questo Monopoli esistenziale dove vince chi ha più alberghi in viale dei Giardini? Thoreau, il primo influencer della storia - ante litteram, senza sponsorizzazioni di tisane detox - lo aveva capito. Mentre voi vi logorate su LinkedIn cercando di trasformare “respirare” in una skill, lui se ne stava in una capanna a guardare le anatre. E scriveva bestseller.
La spiritualità del perdente (ovvero: come sopravvivere alle cene di Natale)
Il Taoismo ci parla di wu wei, il non-agire. Tradotto per i millennial: è quella sensazione quando spegni le notifiche di Slack e scopri che il mondo non collassa. Zhuangzi diceva che “il legno inutile non viene tagliato”. Ecco, io mi sento quel ceppo pieno di tarli su cui tutti inciampano al parco. Ma almeno esisto.
Provate questo esercizio mistico:
- Sdraiatevi sul divano proprio quando “dovreste” fare yoga
- Ascoltate la vocina che vi dice “sei un fallito”
- Rispondetele: “Grazie, è il complimento più zen che mi abbiano mai fatto”
Thoreau, il primo hikikomori della storia (e perché aveva ragione)
Walden Pond è l’antesignano dei Tiny House di Instagram, ma con una differenza: niente filtro Valencia. Thoreau scappò dalla civiltà non per diventare un guru, ma perché - cito - “non sopportava più i pettegolezzi sulle minestre della signora Emerson”. Il suo segreto? Sostituire l’ansia da produttività con l’arte del guardare le formiche che trasportano briciole.
“Semplifica, semplifica” scriveva. Oggi direbbe: disinstalla TikTok, cancella 37 tab aperti sul browser, smetti di leggere articoli su come essere felici. Spoiler: funziona.
La mia personale teoria del fallimento a cinque stelle
- Perdere il treno delle 7:43 → Trovare il bar che fa cappuccini con la schiuma a forma di cuore
- Fallire un esame di statistica → Scoprire che esiste un intero canale YouTube di gatti che odiano i numeri
- Essere lasciati tre giorni prima di San Valentino → Mangiare una teglia di lasagne guardando “Jurassic Park” in loop
Il segreto? Sostituire la scalata sociale con la discesa poetica. Come quel tizio che ha trasformato i suoi CV falliti in origami per decorare il bagno.
Perché gli influencer dello slow living mi fanno venire l’orticaria
“Rallenta! Medita! Fai journaling con una penna di piuma d’oca!”. Ma quando, scusa? Tra lo smartworking e la fila alla posta, l’unico momento zen è quando il gatto vomita sul tappeto e realizzi che almeno qualcuno ha rilasciato le tensioni.
Il vero wu wei moderno è resistere alla tentazione di commentare “First ❤️” sotto i reel motivazionali. È accettare che la propria cerchia sociale sia composta da:
- Un vicino che canta Vasco Rossi sotto la doccia
- La cassiera del supermercato che ti chiama “amore”
- L’algoritmo di Netflix che crede tu sia una sessantenne appassionata di gialli svedesi
Epilogo (senza inviti a offrirmi caffè)
Mentre scrivo, il mio cactus - ribattezzato Friedrich Nietzsche - sopravvive alla mia incapacità di amare. Thoreau, da qualche parte, ride di me che cerco profondità filosofiche mentre ordino sushi tramite un’app.
Forse il vero successo è questo: resistere alla tirannia dei “forse dovresti” per abbracciare il potere rivoluzionario del “ma chi me lo fa fare”. Perché alla fine, come cantava Battisti (nella mia personale traduzione esistenziale):
Il fallimento è quel vestito stretto
Che non indossi mai
Ma che tiene caldo l’anima
Mentre il mondo corre nudo.
E se non vi convince, pazienza. Ho un origami da finire.